Lo schiavo della violenza (I Married a Communist – The Woman on Pier 13) di Robert Stevenson, Rete Capri (122 dtt), ore 21:00. Giovedì 26 gennaio 2020.
Da vedere assolutamente e nonperché sia un capolavoro, anzi. Ma ci sono casi come questo in cui la visione diventa obbligatoria per come un film risce a dirci del suo tempo, a raccontarci l’extrafilmico, il reale storico, il contesto e il clima in cui è sato generato. Se il titolo italiano, anodino e anonimo, niente ci dice, è invece assai eloquente quello con cui questo film prodotto dal leggendario Howard Hughes uscì la prima volta insala, nel 1949: I Married a Communist, Ho sposato un comunista. Titolo che, dopo il clamoroso insuccesso delle anteprime, sarebbe stato successivamente cambiato in La donna del molo 13. Siamo alla fine degli anni Quaranta, la guerra fredda è ormai in corso e intossica menti e anime anche degli americani meglio intenzionati, la commissione governativa preposta a sorvegliare e reprimere “le attività antiamericane” – leggasi comuniste e pro-sovietiche – lavora a pieno ritmo, anche se il senatore Joseph McCarthy non è ancora sceso in campo (lo farà nel 1952). Sicché ecco film di propaganda come questo in cui si agita lo spettro rosso e si inocula nel pubblico il cliché del nemico comunista e sovietizzante che lavora nell’ombra per scardinare la democrazia americana e spianare la strada al trionfo bolscevico planetario. Lo schiavo della violenza ne è un prodotto esemplae e come tale va visto, per i meccanismi comunicativi e di persuasione che mette in atto, per come cala una crociata ideologica dentro una struttura e macchina narrativa a alta efficacia (almeno nelle intenzioni).
Si mutuano i modi e le ombre cupissime del noir (del resto produce RKO, la casa massimamente specializzata nel genere) per un’operazione di pedagogia e indottrinamento di massa, raccontando di un giovane uomo felicemente sppsato e assai impegnato nell’attività sindacale ma dal torbido passato. Quando apparteneva a una cellula comunista aveva comesso, su ordine del capo, un delitto politico. Per poi pentirsene, uscire dal gruppo e icominciare una nuova vita. Ma adesso ecco spuntare un compagmo di allora che gli ingiunge di riprendere l’attoività clandestina se non vuole che la sua colpa venga rivelata. E comincia una complicata e tesisissima storia non priva di sottotrame amorose e con abbondanti colpi di scena. Robert Ryan, che poi vedremo in infiniti western e bellici, è l’ex comunista sotto ricatto. Il film fu rifiutato da molti registi cui era stato proposto, tra cui Joseph Losey. Accettò Robert Stevenson. Dice qualcosa? Ma sì, il regista di Mary Poppins.
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Un film raro stasera in tv: LO SCHIAVO DELLA VIOLENZA (Ho sposato un comunista) di Robert Stevenson – giov. 26 marzo 2020, tv in chiaro
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